I CIO possono continuare a guidare l’innovazione IA
Un aspetto che, sicuramente, interessa le aziende è la possibilità di continuare a sperimentare e innovare nell’intelligenza artificiale senza che la legge ponga troppi limiti. L’AI Act è stato, da alcune parti, criticato per aver eretto dei paletti allo sviluppo di applicazioni e prodotti, che potrebbero rendere le imprese europee meno competitive, ma Benifei è convinto che la legge mantenga un equilibrio tra la protezione dei diritti e la spinta all’innovazione.
“L’AI Act ha il compito di assicurare che lo sviluppo dell’IA in Europa sia in linea con i nostri valori fondamentali, per aumentare la fiducia dei cittadini in queste tecnologie, ridurre i rischi e aumentarne così la diffusione e l’uso. Tuttavia, l’innovazione non è affatto trascurata nel testo, anzi: vi sono ampie disposizioni per esentare la ricerca, il software open source a determinate condizioni, misure specifiche per aiutare le PMI (canali dedicati di informazione, tariffe ridotte, documentazione semplificata, eccetera) e, soprattutto, la creazione di spazi di sperimentazione normativa (le cosiddette sandbox) e la possibilità di testare le applicazioni in condizioni reali”, indica Benifei. “Le sandbox saranno istituite in ogni Stato membro e consentiranno di testare progetti di intelligenza artificiale in un ambiente controllato sotto la guida delle autorità, per aiutare le aziende verso la compliance, per stimolare l’innovazione e per fornire alle autorità stesse maggiori elementi circa il funzionamento o meno dei requisiti previsti dalla legge. Le sandbox esistono in altri settori innovativi, come il fintech, ma è la prima volta che vengono istituite in un testo legislativo, per segnalare quanto sia importante stimolare l’innovazione in questo settore strategico. Quindi io credo che vi sia un buon equilibrio tra diritti e innovazione”.
In riferimento al rischio che l’Europa possa subire uno svantaggio competitivo sull’IA rispetto a Usa e Cina a causa di una maggiore regolamentazione, Benifei risponde: “È un argomento che sentiamo spesso, ma su cui non sono necessariamente d’accordo. Usa e Cina hanno sistemi e culture giuridiche molto diverse dalla nostra. Gli Stati Uniti seguono il sistema anglosassone di common law, per cui per tradizione codificano meno gli obblighi per legge e lasciano ai tribunali dirimere gran parte delle controversie. In Europa abbiamo bisogno di regole chiare, lasciando ai tribunali soltanto i casi problematici. Questo non vuol dire che teniamo meno all’innovazione. Ma il nodo dello svantaggio competitivo europeo sull’intelligenza artificiale non è dovuto alla regolamentazione (del resto non si capisce perché: non è ancora in vigore il Regolamento, eppure lo svantaggio esiste già, e non da poco tempo). Semmai, l’origine del problema è da riscontrare in un’altra radice, dovuta sia all’ammontare di investimenti, soprattutto pubblici, e alla scarsità di talenti e di capitali nel settore, sia alle caratteristiche dell’ecosistema innovativo europeo, tradizionalmente più distribuito e granulare di quello americano, quindi con molte PMI presenti su tutto il continente, invece di big tech concentrate in poche aree come la Silicon Valley”.