Sull’intelligenza artificiale, il CIO chiarisce: “Per un’azienda come Molteni non significa adottare ChatGpt, una soluzione che ha generato tanto entusiasmo, ma che non è al momento utile per il nostro business case. Noi guardiamo alle tecnologie ‘tradizionali’ di intelligenza artificiale che permettono di snellire i processi interni, creando un lean back office e un lean production management, verificando il workflow. L’IA, per esempio, può sollecitare lo svolgimento di task rimasti in sospeso e diventati urgenti, oppure, nelle fabbriche, aiutare a limitare i consumi e gli sprechi ed evitare blocchi sulle linee di assemblaggio con la manutenzione preventiva e predittiva, grazie alla raccolta dei dati. Sempre nelle fabbriche, introdurremo progressivamente una Internet of Things (IoT) avanzata grazie ai macchinari connessi che offrono dati da analizzare. La fabbrica predittiva permette di essere proattivi nella gestione della business continuity e di unire anche l’aspetto di energy management in ottica di sostenibilità, rispetto dei sustainable development goals e risparmio sui costi. Abbiamo clienti del mondo del lusso che chiedono ai fornitori i bilanci di sostenibilità e quindi anche per noi è importante qualificarci all’avanguardia sui temi ESG rafforzando il paradigma di blockchain”, afferma Roero.
Altro elemento del progetto di digitalizzazione è il canale di vendita con applicazioni di realtà virtuale e aumentata (VR e AR) con impiego di Oculus Quest e applicazioni del metaverso per la configurazione del prodotto sul web. “L’obiettivo non è un vero e proprio e-commerce, molto difficile per il tipo di prodotto che vendiamo”, chiarisce Roero, “ma un modello più efficace di gestione del canale online su cui può far leva l’attività di lead management”.
L’imprescindibile connessione tra digital journey e change management
Nel complesso progetto di trasformazione digitale di Molteni, il punto di partenza – sottolinea Roero – è il rafforzamento della cultura digitale, ancora poco diffusa nelle business unit, “puntando a far capire come efficientare i processi. Le attività sono le stesse di sempre – gestire gli acquisti, vagliare i fornitori, controllare i conti, pianificare il time to deliver e il time to market, ottimizzare il lavoro delle fabbriche che comprano materiali e li trasformano in mobili – ma il modo di svolgerle è diverso. Con gli strumenti e i processi digitali si permette all’azienda di crescere e investire”, afferma il CIO.
Il change management è il vero cuore della trasformazione digitale, ancor prima delle tecnologie. Queste sono il necessario supporto: per esempio, nella nuova linea di business di Molteni “Contract management” (design e realizzazione di progetti su commessa di grandi clienti) è essenziale la capacità di verificare e mappare l’intera supply chain. “Si tratta di unire processi, cultura e tecnologia per arrivare al modello operativo omnicanale del futuro che ci siamo posti come obiettivo”, sottolinea Roero.
Anche per AMA, l’obiettivo di una veloce e ampia trasformazione digitale è perseguito innanzitutto con le attività di gestione del cambiamento e formazione di una nuova cultura aziendale. Il primo segnale del cambio di marcia è proprio nell’aver istituito la figura del Chief Information Officer, affidando il ruolo a un manager come D’Accolti che ha una lunga esperienza nel settore privato. Il primo compito del CIO di AMA è coinvolgere nella trasformazione digitale tutte le persone e rendere l’azienda attrattiva per i nuovi talenti.
“Conduciamo attività di change management in cui cerchiamo di portare in azienda anche l’esperienza di grandi attori del mondo privato per conoscere le best practice dei loro CIO e prendere spunti da rendere operativi”, riferisce D’Accolti. “Il passo successivo saranno le azioni di program management, per imparare ad affrontare programmi complessi e ambiziosi, aiutando le persone non solo a capire come lavorare con i nuovi strumenti tecnologici, ma anche a condividere la direzione strategica dell’azienda e gestire in modo più consapevole i fornitori”.
Secondo i risultati del più recente Osservatorio Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano, il 55% delle grandi imprese (+250 dipendenti) sceglie la formazione come primo metodo per portare in azienda un nuovo mindset su digitale e innovazione, mentre il 52% afferma di agire innanzitutto sui manager, cercando di dar forma a un nuovo stile di leadership, “in cui i dirigenti valutano in modo diverso le loro risorse, abbandonando il tradizionale controllo e lasciando spazio al lavoro per obiettivi, nonché considerando ogni persona come possibile fonte di innovazione”, evidenzia Luksch, “perché l’innovazione ha dei tempi rapidi ed è imprevedibile, e i manager devono saper portare nei team uno spirito di corporate entrepreneurship: tutti possono introdurre innovazione”.
L’Osservatorio del Polimi rivela anche che il 35% delle grandi imprese fa change management tramite attività come action learning, contest e hackaton interni per formulare idee nuove, mentre il 24% porta i dipendenti a lavorare a contatto con le startup. “In quest’ultimo caso”, evidenzia Luksch, “si tratta di una forma molto efficace di change management, perché è un’esperienza alternativa al lavoro usuale, che sviluppa non solo competenze, ma anche un forte senso di engagement”.
Questa “devozione all’impresa” è imprescindibile: in sua assenza, la digital transformation è destinata a restare incompiuta, perché, se è il CIO che la progetta, implementa e gestisce, sono tutte le persone in azienda a doverla, giorno per giorno, attuare e alimentare.